Lavoisier 1743 – 1794 : Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma
Gran parte delle costruzioni nel nostro paese risale agli ultimi 50-70 anni, pochi dei quali sono protetti.
Questo favorisce un approccio che, nel momento in cui si rende necessario un intervento, predilige la loro demolizione piuttosto che la conservazione, rendendo così il settore delle costruzioni uno dei più energivori e produttore di scarti.
Con il recente aumento dei costi delle materie prime, oggi è diventato prioritario favorire il mantenimento del patrimonio costruito esistente, con un approccio innovativo da parte di tutto il comparto. Per “Costruire per il clima” è necessario un cambiamento culturale e soprattutto applicare il principio delle tre R (ridurre, riutilizzare e riciclare). Ecco alcune strategie in diversi ambiti.
La pianificazione del territorio
Il ruolo della pianificazione del territorio è decisivo per perseguire il bilancio zero emissioni di CO2 e la zero occupazione di nuovo suolo. Questo concetto è ben espresso nel “progetto della Transizione” che la città di Lugano si propone di realizzare con il nuovo piano direttore comunale. Si dovrà costruire laddove è già costruito, senza consumare terreno vergine. Sarà pertanto inevitabile affrontare il difficile compito di contenere le aree edificabili e facilitare la riconversione degli spazi dismessi. Oggi abbiamo molti edifici vuoti, rurali, industriali, commerciali e residenziali, che deperiscono. Si può facilitare l’insediamento di nuove attività, allentando le stringenti normative edili con maggiori possibilità di deroga. Ci vuole creatività e anche consapevolezza di non poter raggiungere la perfezione rispetto a quando si costruisce un oggetto nuovo.
La conservazione della struttura
In genere la struttura degli edifici resta solida e versatile per decenni e anche centinaia di anni: in essa è incamerata molta energia grigia, che deve essere considerata nel bilancio ecologico.
In alternativa alle demolizioni e ricostruzioni totali, dispendiose e lunghe, è possibile adattare, ampliare, sopraelevare, trasformare, risanare energeticamente, rinforzare, ecc. . Si può – anzi, si deve – conservare il più possibile, anche dove non ci si confronta con beni culturali: spesso è possibile risanare con interventi poco onerosi e in tempi più brevi, con notevoli vantaggi economici.
Tutto ciò è possibile a fronte di un impegno maggiore nelle prime fasi progettuali, dove è necessario analizzare l’edificio esistente sia nelle parti non portanti che in quelle strutturali, dove l’ingegnere civile contribuisce nel definire la strategia d’intervento.
I materiali rinnovabili e locali
Laddove si costruiscono edifici nuovi, bisogna pensare all’intero ciclo di vita, dismissione compresa. I materiali devono essere solidi, durevoli e non inquinanti, e soprattutto rinnovabili. Il calcestruzzo, largamente diffuso negli ultimi 100 anni, deve essere utilizzato con più parsimonia, visto il forte impatto di CO2 necessario per la produzione di cemento e il notevole dispendio di energia nel caso di demolizione. Perciò oggi si sceglie spesso di costruire in legno. Un materiale che favorisce anche una stretta collaborazione fra edilizia e settore forestale locale legando la scelta del materiale alla provenienza e ai costi di trasporto. Da questo punto di vista anche l’acciaio e la pietra meriterebbero un maggiore impiego.
I materiali riciclati e la città come miniera (Urban mining)
Negli ultimi decenni sono stati fatti molti progressi nel riciclaggio dei materiali: Gli scavi vengono regolarmente reimpiegati ed è disponibile calcestruzzo confezionato con aggregati riciclati.
Dalla dismissione degli edifici risultano rifiuti, abbondanti ed eterogenei, che si deve cercare di riutilizzare. Una strategia è quella di adottare la “decostruzione” per separare e recuperare pezzi reimpiegabili per nuove costruzioni. Al posto di abbattere, macinare e frantumare, si può smontare, depositare, affettare e riassemblare. È ad esempio possibile realizzare fondazioni e strutture divisorie con elementi recuperati dal taglio di pareti di calcestruzzo, o riciclare finestre per costruire ripartizioni interne trasparenti, o reinventare nuove strutture partendo da putrelle d’acciaio smontate. Gli edifici dismessi diventano così una sorta di “miniera”: un principio ampiamente adottato nel Medioevo, quando si sono costruite molte chiese riutilizzando le pietre dei monumenti romani. Oggi lo “Urban Mining” sta contribuendo a creare nuove figure professionali specializzate nella ricerca di elementi costruttivi, un po’ come fanno gli antiquari con i mobili vecchi. Grazie alla digitalizzazione si aprono anche qui nuove prospettive: in Svizzera stanno nascendo banche dati come salza.ch e l’atlante delle demolizioni (abriss-atlas.ch), che aiuta i progettisti a trovare elementi costruttivi a cui dare una nuova vita, ed evitare che vengano smaltiti in discarica. Esistono già diverse aziende che si occupano di queste attività.
Responsabilità individuale e collettiva
L’economia circolare tocca ogni ambito della società.
La responsabilità individuale gioca certamente un ruolo decisivo, ma contemporaneamente è indispensabile un importante lavoro collettivo.
La politica può fare da traino e promuovere progetti virtuosi di riferimento, nel contempo l’economia privata e tutti i progettisti architetti e ingegneri devono essere più sensibilizzati e formati a riguardo. Le giovani generazioni sono particolarmente motivate a riguardo: spero che nel prossimo futuro possano incidere maggiormente nella politica.
Cristina Zanini Barzaghi
Ingegnera civile dipl. ETH SIA OTIA
Studio d’ingegneria Zanini Gozzi Sagl
municipale di Lugano, Dicastero Immobili
3 luglio 2022